L’insegnamento richiede molto impegno e passione, quali sono gli aspetti più importanti per svolgere al meglio
questa attività?
Una delle cose fondamentali dell’insegnamento è la capacità di trasmettere quello che si è appreso; gioco-forza bisogna essere fortunati ad aver avuto un grande insegnante/grandi
insegnanti. Dobbiamo inoltre cercare di entrare empaticamente nella mente e nell’essere del possibile alunno che si ha di fronte; cercare di essere il più malleabili possibili perché gli
individui sono ovviamente tutti diversi.
Penso che questa sia una delle parti più belle del mio insegnamento, riuscire a trasmettere le proprie conoscenze, creando in qualche maniera un continuum tra quello che si è
e quello che si riesce a dare all’alunno.

Quali sono le competenze chiave per lavorare all’interno del settore culinario?
Al di là delle capacità tecniche, che vengono apprese tramite il corso e tramite la pratica
che si fa, credo che una delle qualità migliori sia l’umiltà e la capacità di mettersi in gioco,
nello stare con le altre persone. Questa è una delle cose fondamentali,
perché si lavora in un team e si fa gioco di squadra, per riuscire a entrare empaticamente
nelle teste degli altri cercano di stare bene insieme.
Quali sfide ha riscontrato durante il corso delle lezioni
con gli aspiranti cuochi e come le ha affrontate?
La sfida più grande è stata proprio quella di riuscire a far mettere d’accordo più teste e farle
collaborare insieme. Se dal punto di vista tecnico potrà risultare semplice, alcune cose
solamente la pratica fa si che avvengano, la cosa più complessa è mettere d’accordo tutti.
Questa è la parte più importante e difficile del mio lavoro.

Quali sono i consigli principali che si sente di dare
agli aspiranti cuochi che vogliono intraprendere
questa carriera?
Allora io penso, e l’ho vissuto sulla mia pelle, che bisogna crederci seriamente in questo lavoro.
E per crederci, bisogna amarlo; non è assolutamente un lavoro che si può svolgere senza
passione, perché richiede grandissimo impegno dal punto di vista psico-fisico,
per cui bisogna essere concreti e centrati su quello che si vuole e perseguire l’obiettivo.
Come si dice in ambito calcistico, non bisogna mai abbandonare gli occhi dal pallone, e sopportare anche tanto; entra sempre il discorso legato all’umiltà, sopportare le ore lavorative, lo stress e riuscire anche a farselo scivolare addosso, e a ricominciare, perché è umano sbagliare ma se perseverare inizia a diventare complicato. Quindi questo, bisogna crederci.
In che modo incoraggia la collaborazione e il lavoro di squadra durante i corsi?
Io cerco sempre di instaurare un rapporto estremamente pacato, mirato all’apprendimento.
Quando entro in classe non faccio lo chef bensì l’insegnante. Lo step dello chef posso farlo alla
fine del percorso delle lezioni, perché se io facessi lo chef all’inizio, questo non porterebbe da
nessuna parte, perché di fronte a me non ho dei professionisti quindi mi devo rapportare a
persone che devono imparare; per fare questo devo fare l’insegnante. A parte insegnare quello
che so, devo cercare di fare una squadra. Se ci riesco, avrò i miei risultati, come fossi un
allenatore.
Può condividere un momento particolarmente gratificante che ha avuto con uno dei corsisti?
In realtà i momenti più gratificanti sono quasi sempre semplici: io sono contento quando vedo
che i corsisti sono contenti e riescono a fare una cosa. Lì c’è la gratificazione più grande,
perché vuol dire che io sono stato bravo a trasmettere una cosa e loro ci hanno creduto nel farlo.
La soddisfazione è doppia, perché anche loro sono contenti di aver imparato e essere riusciti
nell’obiettivo. Al di là dell’esito del corso, o di quello che faranno in seguito nella vita, questa
piccola sicurezza, anche solo aver tagliato bene il prezzemolo, è qualcosa che loro possono
portarsi dietro e che potrà aiutarli in altro. Questa penso che sia la base del corso.
Manca l’iniziativa pubblica, un paese che ha una grossa fetta del patrimonio artistico mondiale non può ridurre i costi di gestione, a lungo termine è una scelta suicida. Non investendo su una delle principali risorse del paese non si crea la possibilità di rendere più utili queste risorse e si lascia il tutto in una situazione assurda per certi versi. I costi di preservazione del patrimonio sono pubblici ma tutto ciò che si può dare degli utili è concesso ai privati, in questa situazione di poco intervento pubblico si innesca un circolo vizioso che porta da nessuna parte.
Stradedarts nasce spontaneamente dalla nostra passione, prima, per il Graffiti Writing e poi per la Street Art. La nostra sede è nella zona 6 di Milano, dove abbiamo mossa i nostri primi passi, dando nuova vita a muri abbandonati e di fatto restituendoli alla comunità. Il nostro valore è sempre stato questo, il bello, visto attraverso queste culture e linguaggi, che hanno saputo trasformare “non luoghi” in veri e propri musei a cielo aperto. Abbiamo cercato di restituire qualcosa al nostro territorio, al luogo dove siamo nati e dove ancora oggi amiamo lavorare.
Sicuramente un primo risultato è stato quello di aiutare oltre 2.000 giovani brillanti a presentare delle idee etiche di business, diverse delle quali hanno poi visto la realizzazione pratica, poi come ogni semina, bisogna aspettare il raccolto; devono passare 5 meglio 10 anni per capire se la semina è andata a buon fine, cioè il tempo necessario ai quasi 100 nostri brillanti vincitori di affermarsi e diventare decision maker: oggi infatti possiamo vedere come vincitori delle prime edizioni si comportino in maniera etica quando se ne presenta la situazione, esempio famoso e Cristian Fracassi con la maschera respiratore durante la pandemia, ma anche altri meno noti.